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Su una falsa opposizione - Risposta a Radioazione

martedì 27 novembre 2012

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Cari compagni, è con stupore che abbiamo letto sul vostro sito una breve nota introduttiva della quale non condividiamo quasi nulla. Essa serviva da premessa ad una traduzione poco rigorosa di un comunicato proveniente da qui, a proposito del processo ai compagni Alfredo e Nicola. Teniamo innanzitutto a segnalare che se sottolineiamo la cattiva qualitàdella traduzione non è per preoccupazioni di perfezionismo linguistico. È che il significato del comunicato viene distorto in diversi punti ed in un senso che, guarda caso, va a vostro favore. Parliamo in particolare del passaggio: “…e non può essere riassunto ne monopolizzato per motivo autoreferenziale che crea la divisione di questa sigla†[l’originale francese diceva: “et ne peut être résumée ni monopolisée par le réseau autoréférentiel que crée le partage de ce sigle†, traducibile come: “e non può essere riassunto né monopolizzato dal network autoreferenziale creato dalla condivisione di questa sigla†, NdT]. La seconda parte di questa vostra frase non ha alcun senso in italiano. Tradurre poi la parola francese “partage†con la parola “divisione†è cosa molto discutibile. A maggior ragione visto che si capisce che avete tradotto questo comunicato soltanto per criticarlo, il minimo dell’onestàsarebbe stato tradurlo correttamente, cioè lasciandogli il suo senso [2].

Ci sembra poi chiaro che la solidarietànon deve per forza essere incondizionata. Essa può anche contenere una critica, perché non abbiamo bisogno di eroi, ma di discutere sì.

Per quanto riguarda il fondo del problema che voi sollevate, quello dell’anonimato e del carattere diffuso della conflittualità, non capiamo bene dove volete arrivare. In effetti ci sembra davvero evidente che una attacco, nel modo in cui viene effettuato, nelle responsabilitàche vengono prese da parte di chi lo effettua, appartiene soltanto ai diretti interessati. Chi ha detto che non è così? Non ci sembra che in questo comunicato si proponga di avvisare alcuno di quello che ognuno fa al calare della notte, ciò riguarda in primo luogo quelle e quelli che si prendono la responsabilitàdi attaccare. D’altra parte non ci sembra che, in questo testo ma anche in altri che non citate ma ai quali sembrate fare riferimento, il dibattito si sia mai avventurato in tali acque, che sono acque puzzolenti e fangose.

Ci pare, al contrario, che il dibattito si incentri sulla questione delle possibilitàdi riappropriazione di un’azione, non sulle modalitàdi attuarla, che, lo ripetiamo, appartengono solo a chi l’effettua.
Qui potrebbe iscriversi il fatto che, anche se la gioia e la soddisfazione di un attacco riuscito appartengono in primo luogo a quelli che l’hanno compiuto, la gioia e la soddisfazione, così come il significato – soprattutto il significato – possono appartenere anche a molte altre persone. Eravamo in molti, il 7 maggio 2012, ad essere soddisfatti e contenti per la pallottola nella gamba di Adinolfi. Ed il significato di quella pallottola era chiaro a più persone ancora: oltre che a tutti i nemici di questo mondo, a tutte le persone “normali†che, con delle grossolane semplificazioni, criticate così spesso su Radioazione (per es. in “Solidarietàe complicitàcon Alfredo e Nicola†). E in particolare anche a tutti i porci che detengono il potere e/o lo servono, innanzitutto lo stesso Adinolfi.
Che le cose siano chiare: l’utilizzo di sigle permanenti (ed insistiamo sul “permanenti†) non fa parte delle nostre scelte, ma non siamo nemmeno dei “fissati†dell’anonimato. Per esempio non condividiamo le tesi espresse nel testo “L’anonimato†, pubblicato su Indymedia Atene il 31/8/2013, il quale entra in considerazioni tecniche che vanno molto oltre la nostra comprensione e che troviamo fuori luogo, per le stesse ragioni che citiamo più in alto, cioè la responsabilità, che secondo noi non può che essere individuale.

Per ripeterlo ancora una volta, non sta a noi giudicare chicchessia, con il pretesto di divergenze, sul modo in cui vuole pubblicizzare oppure no la sua azione. Ciononostante, ci sembra necessario aprire un dibattito fra anarchici sostenitori ed attori della conflittualitàdiffusa e permanente. Il contrario ci farebbe ritornare ad una mentalitàda caserma tipica di un partito. Ci sembra per esempio di aver trovato questa apertura nelle due lettere di Nicola, che riconosce bene, lui, l’esistenza di compagni/e che effettuano degli attacchi in maniera anonima o con sigle non permanenti, al di fuori della “multinazionale†FAI. E che i due metodi possono anche ben completarsi.

Contrariamente a ciò che sembrate insinuare, aprire un dibattito non è una pratica autoritaria.

Per quanto riguarda la questione della riappropriazione, in effetti non siamo d’accordo. E troviamo che si dannoso, da un punto di vista rivoluzionario, immaginare l’attacco come prerogativa, territorio esclusivo degli anarchici. In caso contrario a cosa sarebbero serviti attacchi popolari come quelli compiuti da compagni del passato come Ravachol oppure l’esecuzione di Calabresi? La dichiarazione di Ravachol al suo processo, diffusa dai compagni a migliaia di esemplari per le strade di Parigi, prima e dopo la sua esecuzione, ha permesso a migliaia di individui di riappropriarsi i discorsi e gli atti di quel compagno. Ciò ha fatto di lui una figura popolare ed apprezzata da numerosi rivoltosi, che ancora oggi resta nella memoria collettiva. Tutto ciò perché lo stesso Ravachol, ma anche i compagni dell’epoca, hanno fatto di tutto perché quegli attacchi non fossero atti isolati e circoscritti; è quello che chiamiamo l’apertura di possibilitàdi riappropriazione, quello che loro chiamavano la propaganda col fatto. Non è d’altronde un caso se molti individui, anarchici o no, hanno poi avuto, dopo Ravachol, il coraggio di rivendicare il loro disgusto in atti verso questo mondo. Partecipando alla diffusione della conflittualitàpermanente, anonima o meno. E gli attacchi di Ravachol contro i giudici, per esempio, non appartenevano più soltanto a Ravachol o ai compagni, ma a tutti quelli che provano lo stesso odio verso la giustizia ed il suo mondo. Ecco, a nostro avviso, un bel successo per gli anarchici.

Per finire, le insinuazioni che lasciate trapelare in alcuni passaggi ci sono insopportabili. Sottintendere che disapprovare le sigle permanenti equivalga per forza a crogiolarsi nell’ozio della critica via internet è un’insinuazione schifosa. Sembrate ignorare parecchie cose, ma con una certezza compiaciuta di sé stessa.
Vediamo bene, sul vostro sito come per esempio su altri, che certe forme di conflittualitànon vi interessano per niente. Perché su Radioazione non si parla mai della Francia? Perché non vi sono sigle. Perché non vi si parla mai della Germania o del Belgio? Per le stesse ragioni. Eppure tutti, in primo luogo lo Stato, sanno che gli attacchi, anonimi o no, non vi mancano. Ma essi non trovano attenzione ai vostri occhi, visibilmente perché non insistono su un qualche cosa di comune basato su criteri identitari.

Anche in Francia degli anarchici sono stati inquisiti ed incarcerati, accusati di attacchi incendiari contro banche, altri contro la polizia o le prigioni, anch’essi ed esse non sono arretrati di fronte alla vendetta statale, di proporzioni certo diverse, ma hanno rifiutato ogni dialogo, così come le categorie d’innocenza e colpevolezza e sono restati dignitosi di fronte ai loro aguzzini. Questa non è una richiesta, perché ce ne fottiamo del fatto che Radioazione si interessi o meno a tutto ciò, questo problema (e le questioni che dovrebbero accompagnarlo) è un problema vostro.

Quello che cerchiamo di dire qui è che esiste tutto un mondo che attacca, fuori dalla costellazione FAI ed anche al di fuori dei diversi movimenti ed ambienti anarchici sclerotizzati, e questo da sempre, che voi lo vogliate o meno. Non ci sono da una parte la FAI ed il “nuovo anarchismo†e dall’altra dei vecchi schiavi anarchici oziosi che si accontentano di criticare quelli che attaccano, per mantenere in piedi il vecchio mondo. Bisognerebbe uscire da questa falsa opposizione puerile, veicolata da internet e dalle nuove tecnologie. Bisogna essere ciechi, oppure fare riferimento soltanto a siti come il vostro, per non rendersene conto. Ma le bolle sono fatte per scoppiare.

Infatti la maggior parte degli attacchi a questo mondo non sono effettuati da anarchici. Si tratta di quella che chiamiamo guerra sociale, con i suoi aspetti positivi ed anche i numerosi aspetti negativi. Essa è ben presente, qui come altrove, e non ha bisogno di sigle né di referenze identitarie. Per fortuna nessuno detiene il monopolio della critica in atti di questo mondo.

E poi, la FAI sarebbe il “nuovo anarchismo†, come si legge su certi siti anarchici? Nuovo perché? Ed in cosa? Perché la FAI compie degli attacchi? Gli anarchici non hanno forse sempre compiuto degli attacchi? Voi sembrate ignorare delle cose evidenti. Ancora in “Solidarietàe complicitàcon Alfredo e Nicola†scrivete che in Italia “[p]er un secolo si sono sentiti solo slogan, l’anno scorso Alfredo e Nicola sono passati ai fatti†. Slogan? Davvero? Ancora una volta, Calabresi non vi dice nulla? E Stefano Sindona? E Alberto Mammoli? E le centinaia di tralicci elettrici abbattuti negli anni ’80? E le decine di compagni/e che hanno subito una repressione feroce durante l’inchiesta Marini passavano tutto il loro tempo a gridare slogan? E tutti gli altri, noi tutti e tutte?
La FAI sarebbe il “nuovo anarchismo†perché vuole essere internazionale? Ma qualcuno si ricorda ancora del vecchio Bakunin (che si limitava a scrivere libri?) che correva per tutto il continente per preparare tentativi insurrezionali?

La questione della violenza rivoluzionaria è fondamentale. Ma che sia chiaro che essa non appartiene ad un club a numero chiuso. Né alla FAI né a nessun altro. E se vogliamo davvero farla finita con questo mondo, bisogna che la violenza rivoluzionaria si diffonda il più possibile, molto al di làdel movimento anarchico. Presentarsi come dei superuomini, una piccola setta di eroi sparsi ai quattro angoli della Terra, che portano a compimento degli attacchi per mandarsi delle strizzatine d’occhio fra “affini†(che nella maggior parte dei casi non si sono mai incontrati), invece di puntare su una rivolta generalizzata; presentarsi come opposti rispetto a vaste masse di schiavi volontari eternamente destinati a servire, tutto ciò può servire a lusingare l’ego di qualcuno, ma di certo non ad avvicinarci alla rivoluzione.


[1C’é anche il passaggio “Diffusons les pratiques […] en soutenant en paroles et en actes celles et ceux qui ne lâchent rien […]†, tradotto come: “Diffondere la pratiche […] è sostenere le parole e gli atti di quelli che non si fermano […]†. [Mentre una traduzione più corretta potrebbe essere: “Diffondiamo pratiche […], sostenendo con le parole e con gli atti quelle e quelli che non arretrano di fronte […]†. Una traduzione italiana più corretta del comunicato in questione si può trovare qui; NdT]

[2C’é anche il passaggio “Diffusons les pratiques […] en soutenant en paroles et en actes celles et ceux qui ne lâchent rien […]†, tradotto come: “Diffondere la pratiche […] è sostenere le parole e gli atti di quelli che non si fermano […]†. [Mentre una traduzione più corretta potrebbe essere: “Diffondiamo pratiche […], sostenendo con le parole e con gli atti quelle e quelli che non arretrano di fronte […]†. Una traduzione italiana più corretta del comunicato in questione si può trovare qui; NdT]