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Non siamo in prigione per delle scritte sui muri…
Lettrera di Olivier, in detenzione preventiva dal 14 gennaio
giovedì 29 aprile 2010
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iamo stati arrestati in strada, a Belleville, dalla BAC [unità di polizia che spesso operano “in borghese†, NdT]. Due pattuglie giravano, sapendo quello che cercavano. Nello zaino, gli sbirri ci trovano una bomboletta e le nostre dita sono un po’ troppo nere per i loro gusti. Il nostro passaggio in commissariato non dura a lungo: giusto il tempo che i pulotti tirino fuori la panoplia dei loro trucchi, meno per farci parlare che per metterci addosso la tensione. Nel pomeriggio del 13, quelli della SAT-Brigade Criminelle [section antiterroriste, sezione antiterrorismo della polizia parigina, NdT] vengono a cercarci, sorridenti. Da quel momento è abbastanza chiaro che le scritte saranno solo un dettaglio insignificante, un pretesto per tenerci.
“È stupido, vi eravate calmati, tutta questa storia stava finendo, ma avete ricominciato†. Qualche tentativo di interrogatorio, per la forma. Prima ancora, le perquisizioni, per aggiornare i loro archivi, mettere un po’ di casino. Negli uffici, gli appunti appesi ci informano delle denunce sporte dalla Croce Rossa. I sospetti si concentrano in fretta su di noi. Già al commissariato del XX arrondissement gli sbirri parlavano di una riunione straordinaria fra di loro, dopo una chiamata dell’antiterrorismo, a proposito dei danni fatti a diversi locali della Croce Rossa, la notte fra l’11 e il 12 gennaio. Altre scritte hanno colpito la “Casa della giustizia e del diritto†, nel X arrondissement. L’antiterrorismo che si agita per delle scritte sui muri? C’è qualcosa che stona. La notte del nostro arresto si tratta di scritte che portano messaggi di solidarietà con le rivolte delle ultime settimane in Tunisia e Algeria, contro lo Stato, sia esso dittatoriale o democratico. Ci interrogano a proposito di quelle scritte, ma anche a proposito di quelle della notte precedente, con il pretesto che i temi sarebbero prossimi (è vero che pochi manifestano la propria ostilità nei confronti dello Stato…) e che certe espressioni, come “Crepi lo Stato†compaiono in entrambi i casi.
Al di là di questi fatti specifici, ci viene contestata soprattutto la continuità delle attività , della nostra partecipazione alle lotte, e quindi dei legami di complicità ed amicizia tessuti nel corso di tali lotte. In questo contesto, la prigione per punire il divieto, per due di noi, di incontrarci e di comunicare, ha chiaramente come fine l’annientamento ogni forma di lotta e di organizzazione informale che sfugga al quadro democratico e al suo controllo sociale.
L’associazione a delinquere, anche se non viene formalmente evocata nel nostro caso, resta l’ossessione di chi utilizza ogni fatto, anche così “anodino†come delle scritte, dei fumogeni, degli attacchinaggi, per farlo rientrare nella casella “movimento anarco-autonomo†. Una costruzione, questa, molto utile per separare gli uni, terrorizzare gli altri, smarcare eventualmente i “leader†dai “simpatizzanti†, “teorizzatori†e “attacchini di manifesti†, “preparatori†ed “esecutori†, cioè secondo il modello autoritario e gerarchico che è quello della società che noi combattiamo, e che ci disgusta sotto tutti gli aspetti. Questo genere di attacchi repressivi, in un momento in cui certe lotte, contro i centri di detenzione e tutte le forme di carcere, per esempio, sembra sottotono, servono loro come “precauzione†, al fine di bloccare sul nascere ogni velleità di conflittualità contro quello che ci domina. Le denunce regolari della Croce Rossa partecipano in pieno a questa offensiva degli sbirri, con i quali essa non perde occasione di collaborare. Mano nelle mano nella gestione delle prigioni, mano nella mano nella repressione delle lotte antiautoritarie. Un po’ di vernice per questi umanitari dalle mani rosso sangue è il minimo…
Al di là di questa o questa pratica o mezzo impiegato nella lotta (perché sono evocati ad egual titolo incendi, distruzioni, semplici danneggiamenti, occupazioni collettive…) è questa lotta stessa, e quello che essa porta in sé in termini di desideri e prospettive (un mondo senza sfruttamento, senza denaro, senza prigioni, senza Stato), che il potere vuole soffocare. Ciò non è affatto conseguenza di uno stato o di leggi “d’eccezione†. La libertà e la democrazia non hanno nulla a vedere l’una con l’altra. Bisogna essere dei bei bugiardi per sostenere il contrario. Quello che fa loro girare le palle, è che la nostra rabbia, le nostre rivolte, le nostre lotte non hanno nulla da reclamare, nulla da concedere, nulla da rinnegare, nulla da mendicare. Lasciamo volentieri tutto questo ai professionisti ed opportunisti della politica. Allo stesso modo, le nostre amicizie, le nostre affinità non sono negoziabili. La libertà che noi volgiamo è incondizionata.
Uno slogan della rivolta in Kabilia diceva:
“Voi non potete ucciderci; siamo già morti†.
Lo Stato può anche sbatterci in galera, ma sono i rapporti sociali esistenti che ci imprigionano in ogni caso.
C’è una cosa che noi non dimentichiamo: abbiamo una vita sola.
Riassumiamo: “Nessuna libertà per i nemici del potere†, ci dicono.
Noi rispondiamo: “Nessuna pace per i nemici della libertà †.
Olivier.