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La routine del disastro

mercoledì 28 aprile 2010

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Le notizie sulla catastrofe alla centrale nucleare giapponese di Fukushima si inseguono senza sosta. Di fronte ad un disastro senza precedenti, i media commentano in diretta le notizie di un nucleare che ha l’aria di fare ciò che vuole.

Esplodono le informazioni, è un vero bombardamento, ma nulla trapela.

No, non se ne trarràalcun insegnamento. Una tale catastrofe non può accadere, qui. Giornalisti, esperti e politici discutono di terremoto e tsunami e sono d’accordo sul carattere eccezionale della situazione di quell’isola lontana. Quegli schifosi ne approfittano addirittura per spacciare la famosa affidabilitàdelle centrali francesi, che sarebbero le più sicure al mondo. Senza mai ricordare che un qualunque errore umano può produrre lo stesso risultato ovunque. Senza mai precisare che, dovunque abitiamo in Francia, viviamo sempre a meno di 100 km da una installazione nucleare.

Si guardano bene dal precisare che, dietro la catastrofe, si stanno instaurando un inquadramento ed una gestione militare. Oltre ad essere contaminato, ognuno saràcontinuamente controllato, testato, misurato, sorvegliato e spostato in zone dove ogni libertà, iniziativa individuale e pezzettino di autonomia saranno scomparse sotto il regno delle divise.

La loro propaganda preferisce farci credere che queste operazioni disperate di getto d’acqua e di sabbia, che le loro misure marziali di confinamento e le loro povere distribuzioni di pastiglie di iodio hanno come scopo la nostra salute. Se questo fosse vero, un piccolo numero di paesi non la metterebbe permanentemente in pericolo seguendo la via del nucleare. Dietro questa mostruositàsi nascondono enormi interessi economici e strategici. Fin dall’inizio, nucleare civile e militare sono strettamente connessi e la storia dello sviluppo di questa tecnologia è intimamente legata al gioco mortifero fra grandi potenze.

La routine del disastro è giàpresente, attraverso la moltiplicazione quotidiana di quelli che questi struzzi del nucleare chiamano eufemisticamente “incidenti†. Per esempio, adesso ci promettono di verificare lo stato di 58 reattori presenti sul territorio francese, ma non dicono nulla del problema insolubile posto dalle scorie radioattive che dormono sotto i nostri piedi in quasi 1000 siti, né dei numerosi tumori e leucemie che colpiscono quelle e quelli che vivono vicino alle centrali nucleari. Senza contare tutte le porcate fatte in Niger o Gabon, dove Areva sfrutta la mano d’opera locale, condannandola ad una morte lenta, così come tutti quelli e quelle che abitano vicino alle miniere di uranio.

Il potere fa come se tutto ciò fosse ineluttabile, cercando alla bell’e meglio di evitare il peggio, ma senza mai porsi questioni su quella che è stata e resta ancora una scelta.

In realtàsi potrebbe da subito fare a meno del nucleare e del mondo che lo produce. Gli ecologisti e le altre ONG in salsa verde parlano solo di una pseudo-“uscita†dal nucleare fra 20 o 30 anni, per non urtare il sostegno che viene loro dallo Stato ed i propri potenziali elettori. Da vri salvatori del capitalismo, essi sperano di ricoprire un ruolo di contro-esperti al fine di essere cooptati nella sua gestione attuale.

Quante immagini spettacolari della centrale in fiamme, quante messinscena di “salvataggi†epici, quante paurose nuvole radioattive dobbiamo sopportare senza reagire! Quanti sterili dibattiti di politici sulle diverse alternative per rispondere agli appetiti divoranti dello sviluppo industriale, quanti pretesi discorsi ragionevoli per delle piccole misure che non rimettono nulla in causa! Altrettante maschere per coprire con un velo opaco l’aberrazione del nucleare. È giàl’ora di rompere la vetrina che esso rappresenta e mettere fine a tutta questa merda.

Dietro l’orrore di questa catastrofe senza precedenti di cui non abbiamo ancora finito di contare le vittime, è in gioco l’accettazione a livello mondiale del nucleare.

Lo Stato ha il ruolo del pompiere piromane. È quello che ha messo su tutto questo casino e ora si spaccia per il protettore, il solo a poter garantire la sicurezza delle popolazioni.

Il mondo così-com’è-e-che-soprattutto-non-bisogna-rovesciare non ha mai trovato un miglior garante. Un possibile immobile, che, a parte vedere l’avvelenamento e la militarizzazione del pianeta, vedràsempre più o meno gli stessi in alto e gli altri in basso, gli stessi che “sanno†e gli altri che seguono.

Quello di cui hanno davvero paura, non è il disastro in corso o a venire, non sono nemmeno gli appelli dei loro servi cittadinisti ad una “migliore†gestione dell’esistente, che parla ancora la stessa lingua del male necessario.

Quello che hanno invece a temere sono delle lotte contro il nucleare ed il mondo che lo produce.

Perché ci vorrebbero tutti cavie rassegnate e disorientate. Perché la libertàcomincia cn il sabotaggio di questo mondo che ci distrugge.

Né cavie né pecore,
19 marzo 2011

(volantino distribuito a Parigi)